-
03Feb2012
Massacrano a uno per un mese, e poi dicono a ciò che resta di lui: “E’ stato un errore.” Quando esce, ha perso il lavoro. E anche i documenti. Per aver letto o pronunciato una frase dubbia, un maestro o un professore può essere destituito; e rimane senza lavoro se lo arrestano, anche se fosse solo per un’ora o per errore. Agli uruguaiani che cantano con una certa enfasi, in una cerimonia pubblica, la strofa dell’Inno Nazionale che dice “Tiranni tremate!” si applica loro la legge che condanna “l’attacco al morale delle Forze Armate”: da diciotto mesi a sei anni di prigione. Per aver scarabocchiato su un muro “Viva la libertà!” o aver tirato un volantino per strada, un uomo deve passare in carcere – se sopravvive alla tortura – gran parte della propria vita. Se non sopravvive, il certificato di morte dirà che aveva cercato di fuggire, inciampando e cadendo nel vuoto, o che si è impiccato o che è rimasto vittima di un attacco d’asma. Non ci sarà autopsia. Si inaugura un carcere al mese. E’ quello che gli economisti chiamano “piano di sviluppo”. Però… e le gabbie invisibili? In che informativa ufficiale o esposto dell’opposizione compaiono quelli che sono imprigionati dalla paura? Paura di perdere il lavoro… paura di non trovarlo… paura di parlare… paura di ascoltare… paura di leggere… Nel Paese del Silenzio, si può finire in un campo di concentramento per un certo luccichio nello sguardo. Non è necessario cacciare un funzionario: è sufficiente fargli sapere che può essere destituito senza spiegazione e che nessuno gli darà più un impiego. La censura trionfa, in verità, quando ogni cittadino si converte nell’implacabile censore dei suoi stessi atti e delle sue stesse parole! La dittatura converte in carceri le caserme e i commissariati, i vagoni abbandonati, le navi in disuso… Non converte allo stesso modo in carcere anche la casa di ciascuno di noi?
(Eduardo Galeano, “Dia y noche de amor y de guerra”, 1978)