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Altrettanto però è certo che una società capace di repubblica durevole, non può essere che leggermente o mezzanamente corrotta; che una società pienamente corrotta (come la moderna) non è assolutamente capace d’altro stato durevole che del monarchico quasi assoluto; e che il non essere assolutamente capace se non di assoluta monarchia, e l’essere incapace di durevole stato franco, è certo segno di società pienamente corrotta.
Così, apparentemente, si ravvicinano i due estremi: di società primitiva, di cui non è proprio altro stato che la monarchia, e di società totalmente guasta, di cui non è propria che l’assoluta monarchia. Colla differenza che questa società non è onninamente capace di altro stato durevole, quella sì; e che in questa non può durar che una monarchia assoluta, cioè dispotica, in quella una tal monarchia non poteva assolutamente durare; ma l’era propria una monarchia piena bensì ed intera, ma non assoluta né dispotica; una monarchia dove il re era padron di tutto, e il suddito niente manco libero.
Del resto s’egli è proprio carattere sia della società primitiva come della più corrotta l’essere ambedue per natura monarchiche di governo, non è questo il solo capo in cui si veda che le cose umane ritornano dopo lungo circuito e dopo diversissimo errore ai loro principii, e giunte (come or pare che siano) al termine di lor carriera, o tanto più quanto a questo termine più s’avvicinano, si trovano di nuovo in gran parte cogli effetti medesimi, e nel medesimo luogo, stato ed essere che nel cominciar d’essa carriera. Bensì per cagioni ben diverse e contrarie a quelle d’allora: onde questi effetti e questo stato sono ben peggiori ritornando, che allora non furono; e se e dove furon buoni e convenienti all’umana società ed alla felicità sociale nel principio, son pessimi nel ritorno e nel fine.

(Giacomo Leopardi, “Zibaldone”, 25 settembre 1823)