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18Feb2012
Posso dire modestamente che quando Volodja mi ha picchiato in un orecchio e mi ha sputato in fronte io gli ho dato una di quelle strette che non se la dimentica. Subito dopo l’ho picchiato con il fornello da campo, invece con il ferro da stiro l’ho picchiato di sera. Di modo che non è morto proprio subito. Questo non significa che gli ho strappato la gamba di giorno. Allora era ancora vivo. Andrjusa invece l’ho ucciso per inerzia, e di questo non mi sento di farmi una colpa. Perché Andrjusa e Elizaveta Antonovna mi sono capitati tra i piedi? Non avevano nessun motivo di saltar fuori dalla porta. Mi accusano di essere sanguinario, dicono che ho bevuto del sangue, ma questo non è vero, ho leccato le macchie e le pozze di sangue; è il naturale desiderio di una persona di cancellare le tracce del suo, anche se insignificante, delitto. E poi non ho violentato Elizaveta Antonovna. Prima di tutto, non era piú vergine, e secondo io ho avuto a che fare con un cadavere, che non si lamentava. E cosa c’entra il fatto che era incinta? L’ho estratto io il bambino. E che non fosse più vivo, non è colpa mia. Non sono io che gli ho strappato la testa, è che aveva il collo sottile. Non era fatto per questa vita. E vero che con gli stivali ho spalmato sul pavimento il loro cane. Ma è un bella dimostrazione di cinismo accusarmi di aver ucciso un cane quando lì vicino, per così dire, erano state distrutte tre vite umane. Il bambino non lo conto. Beh, va bene: in tutto questo (posso essere d’accordo), si può vedere una certa crudeltà da parte mia. Ma considerare un delitto il fatto che io mi sono seduto e ho defecato sulle mie vittime, questo, scusate, è assurdo. Defecare è una necessità naturale e di conseguenza affatto delittuosa. Perciò capisco l’apprensione del mio difensore, ma spero ugualmente in una assoluzione con formula piena.
(Daniil Charms, “Disastri”, 1941)