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18Feb2012
Primo dovere della giustizia è non recare danno a nessuno, se non quando si è provocati da un torto; il secondo è di far uso delle cose comuni come comuni e di quelle private come proprie. Fondamento, poi, della giustizia è la lealtà, vale a dire mantenersi fermi e sinceri in quanto si è pattuito. Dell’ingiustizia, invece, due sono le categorie: alla prima appartengono quelli che commettono un torto; alla seconda quelli, che pur potendolo, non lo stornano da chi lo subisce. Perché, chi contro giustizia aggredisce qualcuno, mosso dall’ira o da un particolare stato emotivo, è come se mettesse le mani addosso ad un compagno; chi invece non lo difende, e pur potendolo, non si oppone a un torto è colpevole come se abbandonasse i genitori o gli amici o la patria. E le ingiustizie che sono fatte di proposito, con lo scopo di nuocere, generalmente prendono le mosse dalla paura: chi infatti medita di fare male al suo prossimo, teme se non lo fa, di essere lui a ricevere un danno. Ma nella maggioranza dei casi ci si accinge a commettere un’ingiustizia per ottenere quelle cose, di cui è maturato il desiderio: e in tale colpa è evidente che l’avidità ha un peso enorme.
La ricchezza, poi, la si cerca non solo per i bisogni indispensabili della vita, ma anche per godere dei piaceri. In chi possiede un animo più ambizioso, invece, la bramosia di denaro mira ad ottenere i mezzi per potersi conquistare la gratitudine altrui: non molto tempo fa, Marco Crasso sosteneva che nessuna ricchezza è mai abbastanza grande per chi vuole diventare il primo dello Stato, se, con i frutti di quella, non si è in grado di mantenere un esercito. Anche il piacere che procurano il lusso e un tenore di vita raffinato e ricco ha fatto sì che l’avidità di denaro non avesse limiti. Né, d’altra parte, si può condannare un accrescimento del patrimonio familiare che sia innocuo: ma il torto va sempre evitato.
I più, però, sono indotti a dimenticare la giustizia, specialmente quando cadono nel desiderio di potere, di carriera, di gloria. Allora si manifesta ampiamente quanto è scritto in Ennio: “Né sacre alleanze né lealtà al regno si confanno”. In effetti, ogni volta che le circostanze non consentono a più di una persona di primeggiare, allora, generalmente, si scatena una competizione così accesa che è davvero difficile osservare una “sacra” alleanza. Lo ha evidenziato, nel recente passato, l’audacia senza limiti di Gaio Cesare, che stravolse tutte le leggi, divine e umane, in vista di quel potere assoluto che, da solo e seguendo un’idea perversa, egli si era figurato. Un aspetto negativo di tale genere di ingiustizia consiste nel fatto che la brama di onore, di potere, di predominio e di gloria sorge solitamente negli spiriti più grandi e nelle menti più brillanti. Tanto più occorre evitare che siano commesse colpe di questa categoria.
Ma in ogni genere di ingiustizia c’è una notevole differenza fra un torto originato da uno sconvolgimento mentale, che è per lo più di breve durata e temporaneo, e uno intenzionale e premeditato. Sono infatti meno gravi i torti accidentali, dovuti ad un improvviso moto dell’animo, rispetto a quelli premeditati e preparati in anticipo. Ma dell’arrecare ingiustizie si è parlato a sufficienza.
Suole esservi, poi, più di una ragione per trascurare la difesa e venir meno al proprio dovere; infatti, o non ci si vuole procurare inimicizie, fatiche, o spese; oppure la superficialità, la pigrizia, l’incapacità, o alcuni interessi o impegni personali rappresentano un impedimento tale da permettere di abbandonare a sé stessi coloro che dovrebbero essere protetti. Certo è difficile preoccuparsi degli interessi altrui, anche se il Cremete di Terenzio “non ritiene altrui nulla di umano”. Tuttavia, poiché quanto di bene o di male accade a noi personalmente produce percezioni e sensazioni più forti rispetto alle cose che interessano gli altri (e che noi vediamo come da una lunga distanza), diverso è il giudizio che diamo di loro e di noi. Pertanto valido è l’insegnamento di chi vieta di compiere qualcosa su cui si dubita se sia giusto o ingiusto.
La giustizia risplende di luce propria; il dubbio è segnale di un pensiero ingiusto. Vi sono spesso ingiustizie che nascono da un inganno e da una interpretazione del diritto veramente sottile, ma volta alla frode. Perciò la frase “sommo diritto, sommo torto” è diventata un proverbio ormai logorato dall’uso. Molte ingiustizie di questo genere si commettono anche in circostanze che riguardano lo Stato: si pensi a quel tale che, dopo avere stabilito una tregua di trenta giorni con il nemico, ne devastava il territorio durante la notte, perché la tregua parlava, appunto, di giorni e non di notti.
Vi sono, peraltro, doveri da rispettare pure nei confronti di coloro dai quali si è subita l’ingiustizia. Esiste, infatti, una misura nella vendetta e nella punizione e mi chiedo se non sia sufficiente che il colpevole si penta del torto commesso; lo scopo è che egli in futuro non compia qualcosa di simile, e che gli altri siano frenati nel fare un’ingiustizia. E nello Stato occorre osservare con la massima precisione il diritto di guerra.
Ora, vi sono due modi di contendere: il primo si avvale della diplomazia, il secondo della forza; e poiché il primo è proprio degli esseri umani, il secondo della bestie, a quest’ultimo bisogna ricorrere solo se non si può usare l’altro. Dunque l’ingiustizia si commette in due modi, con la violenza o con l’inganno; l’inganno ci sembra proprio per così dire della volpe; la violenza del leone; l’uno e l’altra sono del tutto estranei all’essere umano, ma l’inganno si merita un odio più grande.
Tuttavia, del complesso delle ingiustizie, nessuna è più grave di quella commessa da chi, proprio al culmine della frode, agisce in modo da sembrare un uomo perbene.
(Cicerone, “Sui doveri” 1, 20; 2328; 30; 3334; 41 I sec. a.C.)