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Compagni,
cuori ch’avete con me tollerato, penato, pensato,
voi che accoglieste, ogni ora, con gaio ed uguale saluto
tanto la folgore quanto il sereno,
che liberi cuori, libere fronti opponeste!
Oh! noi siam vecchi compagni;
pur la vecchiezza anch’ella ha il pregio,
ha il compito: tutto chiude la Morte;
ma può qualche opera compiersi prima d’uomini degna
che già combatterono a prova coi Numi!
Già da’ tuguri sui picchi le luci balenano:
il lungo giorno dilegua, la luna insensibile monta;
l’abisso geme e sussurra all’intorno le sue mille voci.
Venite: tardi non è per coloro che cercano un mondo novello.
Uomini, al largo, e sedendovi in ordine, i solchi sonori via percotete:
ho fermo nel cuore passare il tramonto
ed il lavacro degli astri di là: fin ch’abbia la morte.
Forse è destino che i gorghi del mare ci affondino;
forse, nostro destino è toccare quelle isole della Fortuna,
dove vedremo l’a noi già noto, magnanimo Achille.
Molto perdemmo, ma molto ci resta:
non siamo la forza più che nei giorni lontani
moveva la terra ed il cielo.
Noi, s’è quello che s’è: una tempra d’eroici cuori,
sempre la stessa: affraliti dal tempo e dal fato,
ma duri sempre in lottare
e cercare
e trovare
né cedere mai.

(Lord Alfred Tennyson, “L’Ulisse”, 1833)