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Si sta assestando una forma di fascismo completamente nuova e ancora più pericolosa. Mi spiego meglio. È in corso nel nostro paese, come ho detto, una sostituzione di valori e di modelli, sulla quale hanno avuto grande peso i mezzi di comunicazione di massa e in primo luogo la televisione. Con questo non sostengo affatto che tali mezzi siano in sé negativi: sono anzi d’accordo che potrebbero costituire un grande strumento di progresso culturale; ma finora sono stati, così come li hanno usati, un mezzo di spaventoso regresso, di sviluppo appunto senza progresso, di genocidio culturale per due terzi almeno degli italiani. Visti in questa luce, anche i risultati del 12 maggio contengono un elemento di ambiguità. Secondo me ai “no” ha contribuito potentemente anche la televisione che, ad esempio, in questi vent’anni ha nettamente svalutato ogni contenuto religioso: oh sì, abbiamo visto spesso il Papa benedire, i cardinali inaugurare, abbiamo visto processioni e funerali, ma erano fatti controproducenti ai fini della coscienza religiosa. Di fatto, avveniva invece, almeno a livello inconscio, un profondo processo di laicizzazione, che consegnava le masse del centro-sud al potere dei mass-media e attraverso questi all’ideologia reale del potere: all’edonismo del potere consumistico.

Per questo mi è accaduto di dire – in maniera troppo violenta ed esagitata, forse – che nel “no” vi è una doppia anima: da una parte un progresso reale e cosciente in cui i consumisti e la sinistra hanno avuto un grande ruolo; dall’altra un progresso falso, per cui l’italiano accetta il divorzio per le esigenze laicizzanti del potere borghese: perché chi accetta il divorzio è un buon consumatore. Ecco perché, per amore di verità e per senso dolorosamente critico, io posso giungere anche a una previsione di tipo apocalittico, ed è questa: se dovesse prevalere, nella massa dei “no”, la parte che vi ha avuto il potere, sarebbe la fine della nostra società. Non accadrà, perché appunto in Italia c’è un forte partito comunista, c’è un intelligencjia abbastanza avanzata progressista; ma il pericolo c’è. La distruzione di valori in corso non implica una immediata sostituzione di altri valori, col loro bene e il loro male, col necessario miglioramento del tenore di vita e insieme con un reale progresso culturale. C’è, nel mezzo, un momento di imponderabilità, ed è appunto quello che stiamo vivendo; e qui sta il grande, tragico pericolo. Pensate a cosa può significare in queste condizioni una recessione e non potete certo non rabbrividire se vi si affaccia anche un istante il parallelo – forse arbitrario, forse romanzesco – con la Germania degli anni trenta. Qualche analogia il nostro processo di industrializzazione negli ultimi dieci anni con quello tedesco di allora ce l’ha: fu in tali condizioni che il consumismo aprì la strada, con la recessione del ’20, al nazismo.

Ecco l’angoscia di un uomo della mia generazione, che ha visto la guerra, i nazisti, le SS, che ne ha subito un trauma mai totalmente vinto. Quando vedo intorno a me i giovani che stanno perdendo gli antichi valori popolari e assorbono i nuovi modelli imposti dal capitalismo, rischiando così una forma di disumanità, una forma di atroce afasia, una brutale assenza di capacità critiche, una faziosa passività, ricordo che queste erano appunto le forme tipiche delle SS: e vedo così stendersi sulle nostre città l’ombra orrenda della croce uncinata. Una visione apocalittica, certamente, la mia. Ma se accanto ad essa e all’angoscia che la produce, non vi fosse in me anche un elemento di ottimismo, il pensiero cioè che esiste la possibilità di lottare contro tutto questo, semplicemente non sarei qui, tra voi, a parlare.

(Pier Paolo Pasolini, Festa dell’Unità di Milano,
 pubblicato su Rinascita del 27 settembre 1974)