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Lo spettacolo è il discorso ininterrotto che l’ordine presente tiene su se stesso, il suo monologo elogiativo. È l’autoritratto del potere all’epoca della sua gestione totalitaria delle condizioni di esistenza. L’apparenza feticista di pura oggettività nei rapporti spettacolari cela il loro carattere di rapporto tra uomini e tra classi: sembra che una seconda natura domini intorno a noi con le sue leggi fatali. Ma lo spettacolo non è il prodotto necessario dello sviluppo tecnico considerato come uno sviluppo naturale. La società dello spettacolo è al contrario la forma che sceglie il proprio contenuto tecnico. Se può sembrare che lo spettacolo, preso sotto l’aspetto ristretto dei “mezzi di comunicazione di massa”, che sono la sua manifestazione superficiale più soffocante, invada la società come una semplice strumentazione, questa in realtà non è per nulla neutra, ma è proprio la strumentazione che conviene al suo automovimento totale. Se i bisogni sociali dell’epoca in cui si sviluppano tali tecniche non possono trovare soddisfazione che attraverso la loro mediazione, se l’amministrazione di questa società e ogni contatto tra gli uomini non possono più esercitarsi se non per il tramite di questa potenza di comunicazione istantanea, è perché questa “comunicazione” è essenzialmente unilaterale; di modo che la sua concentrazione torna ad accumulare nelle mani dell’amministrazione del sistema esistente i mezzi che gli permettono di continuare questa amministrazione determinata.

(Guy Debord, “La Società dello Spettacolo”, 1967)